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Cosa è cambiato? Esiste ancora la “vecchia” privacy?

Il nuovo Regolamento UE del Parlamento e del Consiglio Europeo 2016/679 detto “General Data Protection Regulation” (in breve “GDPR”) segna una ulteriore accelerazione nel campo della riservatezza e del trattamento dei dati personali. Con la definitiva esplosione dei social network, delle piattaforme informatiche e dei motori di ricerca, le persone fisiche si comportano spesso in modo sostanzialmente opposto alla propria riservatezza, rendendo disponibili ai propri amici, al pubblico, alle imprese e alle autorità pubbliche, su scala europea e mondiale, innumerevoli informazioni personali. La libera circolazione dei dati favorisce gli scambi, le relazioni sociali, la conoscenza, il confronto, ma cela anche vari rischi. Il Regolamento lo dice chiaramente: il trattamento dei dati deve essere “al servizio dell’uomo”, che non deve esserne schiavo o oggetto. Perché questo accada ogni persona deve essere posta in grado di avere il controllo su come i suoi dati, singoli o organizzati, vengono utilizzati, nell’ambito di un quadro europeo (e internazionale) di regole comuni. Il testo della Regolamento è disponibile nel sito del Garante per la Protezione dei Dati Personali www.garanteprivacy.it. Al momento, il DGPR non ha comportato l’abrogazione dell’attuale normativa italiana (“Codice in materia di protezione dei dati personali” di cui al D.Lgs. n. 196/2003), la quale resta applicabile in tutte le norme non incompatibili con il GDPR. Sarà il legislatore italiano, in sede di emissione del Decreto Legislativo di “ratifica” del Regolamento UE, a stabilire le sorti della normativa interna (con ogni probabilità si limiterà a recepire il Regolamento, abrogando il vecchio Codice e aggiungendo la normativa di dettaglio).

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